Onorevoli Colleghi! - Il dilagare di fenomeni criminali anche organizzati o associati in materia ambientale, con particolare riferimento al campo della gestione illecita dei rifiuti e dell'edilizia abusiva, e il contestuale apparentemente incontrollabile fenomeno sistematico dei gravi inquinamenti idrici (con punte di riversamento in acque di sostanze micidiali per la salute pubblica, come il mercurio liquido, accanto a spiagge di bagnanti, come in un recente clamoroso fatto di cronaca nel sud Italia - Priolo - che ha portato a risarcimenti ingenti a danno di famiglie vittime di nascite con malformazioni), impongono ormai la necessità di introdurre nel sistema penale un gruppo omogeneo di norme che tutelino l'ambiente, e che quindi superino la pluralità di normative disorganiche sparse in diversi testi di legge, che rendono estremamente difficoltosa la percezione di esse sia da parte del cittadino sia da parte dell'interprete. Tale scelta deve essere adottata in contrapposizione ad ogni tendenza alla depenalizzazione, che aggraverebbe la già critica e per certi versi incontrollabile situazione di alto livello di illegalità in questo settore.
      Fra le due possibili opzioni di politica criminale, e cioè quella di creare un testo unico e quella di inserire una serie di

 

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nuove fattispecie nell'ambito del codice penale, si è preferito seguire questa seconda soluzione, sia perché essa appare più attuabile in tempi brevi ed efficaci, sia in considerazione delle disarmonie legislative che stanno caratterizzando la prima fase di applicazione del nuovo testo unico ambientale in fase di giusta e totale revisione.
      Le fattispecie criminose di cui si tratta trovano, a nostro giudizio, la migliore collocazione nel libro II del codice penale, dopo il titolo VI, riguardante i delitti contro l'incolumità pubblica, in un autonomo titolo, il VI-bis, appositamente denominato: «Delitti contro l'equilibrio ambientale e per la tutela del territorio e del mare».
      Il punto fondamentale di tale proposta è il passaggio dalla tradizionale utilizzazione, in ipotesi del genere, di figure contravvenzionali allo strumento maggiormente repressivo del delitto; ciò soprattutto per esprimere il ben maggiore disvalore di tali violazioni, ed inoltre per evitare che entrino in funzione quei meccanismi prescrizionali tanto frequenti nelle contravvenzioni. Inoltre i delitti consentono - come noto - il ricorso a strumenti investigativi anche invasivi che sono ormai essenziali per prevenire e soprattutto contrastare efficacemente i grandi fenomeni criminali ambientali di tipo organizzato ed associato.
      Il concetto di «ambiente» viene di seguito inteso come nozione ampia, non limitata soltanto ai tradizionali elementi dell'aria, dell'acqua o del suolo, ma estesa anche al patrimonio naturale.       Vengono infine puniti efficacemente comportamenti attuati spesso anche da pubbliche amministrazioni, con l'adozione di atti palesemente e strumentalmente illegittimi che di fatto legalizzano scempi ambientali in totale violazione di legge, nonché la collusione tra pubblici dipendenti ed operatori criminali.
      Certamente, punto fondamentale dei delitti proposti è il settore dei rifiuti. I sistemi di smaltimento illegale «classico» dei rifiuti seguono le filiere connesse alle tipologie di illeciti tipici, quali discariche, tombamenti di cave abusive, stoccaggi fraudolenti, ed altre forme ormai «tipizzate» in sede di teoria investigativa. Si è tuttavia recentemente sviluppato - ed è ormai dilagante - una diversa e più subdola forma di attività criminale, che crea danni e conseguenze di pari o forse maggiore entità: gli «smaltimenti in bianco» dei rifiuti (soprattutto pericolosi).
      Queste nuove tecniche seguono due filiere principali: i rifiuti trasformati fittiziamente e fraudolentemente in «materie prime» e le false operazioni di «recupero» che mascherano invece forme di reale smaltimento. La prassi di trasformare i rifiuti in «materie prime» corrisponde a metodiche, ora grossolane ora molto sofisticate a livello documentale, entro le quali si gioca sull'equivoco interpretativo del concetto di «rifiuto». E tale realtà viene affrontata nei delitti proposti. In questo sistema (dove sono tutti dolosamente complici: produttore, trasportatore, titolare del sito finale), chi ha prodotto i rifiuti e chi deve smaltirli (o recuperarli) si accordano contrattualmente e attestano che non si tratta di una operazione di smaltimento (o recupero), ma di una ordinaria compravendita di materie prime commerciali. Di fatto, modulano tutti i meccanismi documentali e cartografici attestando deposito, trasporto e destinazione finale in un contesto commerciale di ordinarie materie prime commerciali. I rifiuti, quindi, in modo fittizio e fraudolento perdono nei documenti la loro identità di rifiuti e vengono indicati come ordinarie merci. La normativa di settore viene così completamente superata ed i rifiuti vengono gestiti in modo invisibile per i relativi meccanismi autorizzatori e di controllo. Le false operazioni di «recupero», che mascherano invece forme di reale smaltimento, sono un secondo sistema dilagante, e si presentano o come entità illegali autonome o come corollario finale del sistema sopra esposto.
      Questo fenomeno, già grave in se stesso, ha generato per effetto paradossale una situazione ancora più devastante, giacché su tali meccanismi si è innestato il crimine
 

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organizzato o comunque una diffusa illegalità associata.
      Infatti, in origine questo sistema era limitato a irregolarità formali, mentre le aziende interessate limitavano il loro operato - in genere - ad eludere solo documentalmente i meccanismi gestori delle normative di settore, ma in realtà non operavano poi attività illecite nelle attività di recupero, che venivano condotte in modo sostanzialmente corretto, anche se formalmente in modo illegale. Il danno era dunque esistente ma contenuto e forse proprio per questo motivo sottovalutato dagli organi di vigilanza che, naturalmente, erano concentrati sugli aspetti più gravi degli smaltimenti abusivi.
      Chi delinque in modo organizzato, o comunque con prassi associative di fatto e con criteri più raffinati, ha percepito questa nuova ed insperata opportunità. Infatti, la filiera degli smaltimenti illegali era ormai intrisa di ostacoli, giacché progressivamente organi di vigilanza e magistratura hanno perfezionato protocolli investigativi e repressivi di sempre maggiore efficacia e presenza sul territorio. Dunque, la strada dello smaltimento abusivo iniziava a diventare minata per chi voleva continuare a delinquere in modo sistematico. Si è dunque percepita la fertile strada alternativa dei recuperi abusivi. Una strada soggetta storicamente a minori controlli, meno sospettata di radici di illegalità, ricca di nuove prospettive operative. E di fatto si sono trasferiti in blocco dal sistema degli smaltimenti abusivi «classici» interi meccanismi - rimasti pressoché identici - nel campo dei recuperi, per mascherare gli smaltimenti con le operazioni di recupero (meno controllate, privilegiate amministrativamente e politicamente e soggette a finanziamenti pubblici!).
      In particolare, si è sfruttata abilmente la prassi - purtroppo lasciata dilagare in precedenza - delle aziende di recupero che pretendono di acquistare i rifiuti come materie prime, ed il gioco è stato semplice e fruttoso. Queste forme perniciose sono ormai dilaganti, e hanno infestato il mondo del recupero che usano come schermo per le loro attività criminali.
      I terreni usati come pattumiere per rifiuti pericolosi di ogni tipo; gli smaltimenti dissimulati «in bianco» attraverso la ripulitura giuridica dei rifiuti che partono come tali ed arrivano come «materie prime» grazie ad abili giochi cartacei e documentali: a nostro avviso, questi sono i nuovi fronti dei crimini ambientali, per i quali è necessaria la definizione di delitti di nuova ed adeguata impostazione di principio.
      La nostra proposta non tende ad eliminare tutti i reati contravvenzionali oggi esistenti nel campo penale, perché appare non plausibile vedere concentrati gli illeciti penali di settore in alcuni grandi reati del tipo «delitto» con contestuale depenalizzazione - tuttavia - delle ipotesi oggi contravvenzionali. Appare infatti realisticamente difficile poter riassumere in alcuni delitti specifici nel codice penale tutte le varie e diffuse fattispecie di violazioni gravi insistenti nel campo ambientale; per forza di cose, dunque, questi grandi reati-delitti andranno verosimilmente a coprire un settore «di eccellenza» delle violazioni connesse ai casi di maggiore gravità. E dunque depenalizzare contemporaneamente tutti gli altri reati - oggi contravvenzionali - significherebbe privare della tutela penale sostanziale e soprattutto procedurale fattispecie diffuse e significative con un rilevante effetto negativo. Va infatti sottolineato che oggi molte grandi inchieste concluse con contestazione di reati addirittura associativi ed emissione di ordini di custodia cautelare sono scaturite da un originario e modesto accertamento con sanzione contravvenzionale che ha poi consentito di estendere gli accertamenti con strumenti procedurali appunto penali e di giungere così ai più importanti risultati finali. Ma se si depenalizza questa vasta area di reati-base, si toglie all'organo accertatore la possibilità di individuare sul territorio episodi inizialmente di piccola o media gravità, ma che poi sono la chiave di lettura per i grandi delitti.
      Di conseguenza, i delitti proposti con la presente iniziativa vanno a colpire fenomeni ampi e diffusi e non si sostituiscono alle violazioni gestionali previste dalla vigente normativa di settore.
 

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